"Prega ancora Moira, per la nostra nazione
adesso che tu sei finalmente libera.
Se nella nostra amata Belfast
SINBOLO DEL SINN FEINresterai in pace vicino ai combattenti
dalla tua tomba lo spirito parlerà
e ti sentiranno chiamarci dall'alto.
Prendi con noi la torcia della libertà
che sta bruciando nel Bokside e nei Falls".

Peader Tunney: "Road to Glory".

 
 

 

La famiglia Sands abitava all'undici di Twinbrook, in un quartiere cattolico sorto intorno alla chiesa di San Luca. Questo non era il loro quartiere d'origine: inizialmente vivevano in un quartiere protestante, uno di quei quartieri esclusivi di Belfast Est, ma furono cacciati dagli oranges. MURALES A BELFASTFino a quel momento Robert aveva giocato a rugby insieme ai ragazzi protestanti; furono loro a soprannominarlo Bobby, gli stessi che gli passavano la palla nelle fasi concitate di gioco, gli stessi che non sopportarono più un compagno di squadra scoperto cattolico. In quel periodo i suoi eroi erano i poliziotti inglesi, gli agenti speciali, quelli che mantenevano l'ordine, che marciavano compatti, eroi da imitare nei giochi di bimbo, eroi che stranamente la sua famiglia odiava. Anche quando fu costretto a cambiare quartiere i suoi eroi rimasero gli stessi: divise scintillanti, anfibi che facevano rimbombare la terra, sguardi determinati.
Ma poi qualcosa mutò, nell'anima di Robert si insinuò il dubbio, cominciò a porre più attenzione ai racconti di sua madre Rosaleen, racconti che lui stesso ricorda nei suoi diari e che non hanno bisogno del nostro commento; lasciamo a Geronimo il compito di narrarci la sua vita e riserviamo per noi il privilegio della riflessione:

"[Mia madre mi raccontava le] retate di prigionieri politici, gli assalti armati, i morti, o le incursioni all'alba, quando uno ascoltava con il cuore in tumulto il rimbombo di pesanti scarponi militari sull'acciottolato delle strade...Con l'avvento della televisione però, i racconti di mia madre furono sostituiti dalle immagini. Le mie idee si confusero: i cattivi descritti da mia madre erano sempre i miei eroi televisivi: i soldati inglesi lottavano per la giustizia e i poliziotti erano invariabilmente bravi ragazzi. Da piccolo io mitizzai le loro gesta e li imitai nei miei giochi infantili. A scuola imparai la storia, ma era sempre storia inglese. Poi, cominciai a chiedermi perché non insegnavano mai la storia del mio paese, l'Irlanda; e quando mia sorella Marcella, di un anno più giovane di me, cominciò ad imparare la lingua gaelica, io la invidiai. Il lavoro mi distrasse di nuovo: i pochi scellini che guadagnavo li spendevo in sale da ballo, ragazze e abiti nuovi. A quel tempo i soldi erano tutto per me...
[Nel 1968] la mia vita cominciò a cambiare. Poco a poco il contenuto dei telegiornali mutò e io notai con maggior frequenza gli "agenti speciali" che caricavano la folla per le strade. Dal modo in cui mia madre mostrava i pugni al televisore compresi che era gente come noi a essere perseguitata e bastonata. Nell'agosto del '69 la violenza scoppiò nelle strade e il nostro quartiere sembrò colpito da un uragano. Il mio piccolo mondo personale si frantumò. Arrivarono gli "speciali" seguiti da orde di "orangisti" inferociti, e invadevano le nostre strade, sparavano, incendiavano, saccheggiavano, uccidevano. Non c'era nessuno a difenderci, allora, a parte i "ragazzi", come mio padre chiamava gli uomini che proteggevano il quartiere con poche armi antiquate. Poco dopo apparvero per le strade strane persone, voci, facce, sotto forma dei soldati britannici. Non li consideravo più gli "eroi" della mia infanzia.
[A 18 anni] mi arruolai tra i "provos", mia madre mi guardò piena di orgoglio e di paura quando uscii per la prima volta imbracciando una carabina. Con mia sorpresa i miei ex compagni di scuola e i vicini divennero i miei camerati e mi aprirono le loro case e i loro cuori. Imparai subito che senza l'appoggio della popolazione i repubblicani non avrebbero mai potuto sopravvivere. Nel '71 passai il mio ultimo Natale a casa. Nell'autunno del '72 venni arrestato. Ero poco più che diciannovenne. Mi condannarono a tre anni e mezzo di reclusione per possesso di armi. Su un'auto avevamo una pistola in quattro. Quando fui rilasciato, nel '76, ero più che mai deciso a battermi per la liberazione del mio Paese. Sei mesi dopo ebbi la sfortuna di essere catturato di nuovo dopo un violento scontro a fuoco. Lo choc del mio nuovo arresto fu enorme per i miei familiari, ma soprattutto per mia moglie Geraldine che era incinta di quattro mesi. Fui ritenuto colpevole e condannato ad altri quindici anni. Il giorno dopo, in carcere, mi denudai e mi sedetti sul pavimento freddo della cella per protesta contro l'inumanità di quella galera".

Sands era ventitreenne quando varcò per la seconda volta l'ingresso del carcere di Maze; era ancora molto giovane ma già portava su di sé i segni indelebili delle vessazioni e delle lotte, quei segni che scolpiscono solchi profondi come strade sulle nostre anime, solchi e strade a senso unico, che non permettono ripensamenti, dubbi, cedimenti: puoi solo andare avanti, avendo come unica compagna di strada, la lucida consapevolezza e la serena accettazione del tuo compito.
Nel 1976, al triste capitolo della legislazione d'emergenza, si erano già aggiunte le ultime trovate del Governo inglese: una nuova "strategia" per il controllo del Nord Irlanda fu varata con l'ascesa al potere del partito laburista (a dimostrazione che negli scontri razziali e religiosi la politica gioca un ruolo marginale); questa mirava a criminalizzare i volontari Irlandesi con l'abolizione dello Special Category Status, e contemporaneamente ad ulsterizzare il conflitto.
Questo ennesimo giro di vite da parte delle autorità britanniche, doveva far riesplodere l'offensiva dell'IRA all'interno delle carceri che, mai del tutto sopita, era ricomparsa sulla scena del conflitto da quasi quattro anni.

 
 

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