"A vincere non saranno coloro che infliggono la sofferenza maggiore, bensì coloro che la sopportano".

Terence MacSwiney

 
 

 Quando Cù Chulainn, figlio del dio Lug, fu costretto ad affrontare la morte, la rese sacrificale e quindi l'accettò nella convinzione che il martirio fosse la via privilegiata per la liberazione, il sortilegio che muta la sconfitta in vittoria. Già ferito, con il ventre aperto, chiese ai suoi nemici di poter bere un'ultima volta, quindi si legò ad una roccia e con la spada in mano attese che si compisse l'atto finale.
E' incredibile osservare quante siano le analogie che la morte sacrificale di Cù Chulainn ha con la passione di Cristo: erano ambedue figli di dio e re, ambedue potevano salvarsi dalla morte condannando al contempo i propri popoli alle tenebre, al dileggio; ambedue hanno avuto crepuscoli e attese fatte di riflessione e paura, e come Gesù Cristo, anche Cù Chulainn
TERRA D'IRLANDAebbe la sua via crucis, fatta di incontri, visioni, malefici e dolori; ed infine ambedue sono morti legati, chiedendo acqua, con il corpo trafitto.
Cù Chulainn, eroe mitico dell'Ulaid (Ulster), fu celebrato nelle saghe celtiche dell'età del ferro, che ci furono tramandate oralmente attraverso le scuole druidiche; la collocazione temporale delle saghe, rende ancora più impressionanti le analogie esistenti tra la morte sacrificale dell'eroe irlandese e la passione di Cristo, e probabilmente è proprio attraverso le affinità esistenti tra mitologia celtica e religione cristiana, che si può trovare una chiave di lettura per spiegare la rapidità con la quale si compì l'evangelizzazione dell'Irlanda a partire dal V secolo (inizio del periodo storico).
Appare chiaro, quindi, come sia stato possibile a distanza di tremila anni tornare a coniugare la lotta militare e politica secondo la logica del martirio: la morte sacrificale, la passione, la donazione, sono da sempre principi fondanti della dottrina e della strategia politica degli irredentisti irlandesi, perché ancestralmente legati alla cultura e alle tradizioni dell'isola, così come la lucida follia e la metodica determinazione che rendono possibile il "suicidio" di massa, che riscoprono le proprie origini nell'antica usanza celta che esigeva, qualora si fosse voluto punire un nemico, di stazionare davanti alla porta della sua casa, lasciandosi morire. Il sacrificio è l'assunzione; nel senso del sacrificio è la via della lotta, e questa non si identifica necessariamente con la via della vittoria. La lotta, il sacrificio, l'immolazione sono valori in quanto tali, e l'azione è il frutto della tensione spirituale e della capacità di donazione che risiedono in ogni militante; durante la rivolta della Pasqua del 1916, alla domanda di resa posta ai patrioti irlandesi, questi risposero: "Siamo qui per morire, non per vincere!", e le loro intenzioni erano proprio quelle di mutarsi attraverso il martirio, da semplici uomini ad eroi mitologici, ad esempi da seguire e da cantare. Le testimonianze più cariche di tensione emotiva che ci sono rimaste di quei giorni, sono le poesie che Patrick Pearse e Thomas MacDonagh, due patrioti fatti prigionieri dai soldati britannici, scrissero prima di essere messi a morte, per celebrare il proprio sacrificio; gli irredentisti irlandesi rivivono attraverso il loro martirio la passione che fu di Cù Chulainn e Cristo, e come loro si sacrificano per salvare la propria gente. Anche William Butler Yeats volle cantare questa metamorfosi, e lo fece nella sua poesia "Pasqua 1916" dove in una strofa scrisse: "...sono mutati, mutati del tutto: una terribile bellezza è nata".
Passarono quattro anni e la notizia di un altro caso eclatante fece rapidamente il giro del mondo: era l'autunno del 1920, quando il sindaco repubblicano di Cork, Terence McSwiney, morì dopo un sensazionale sciopero della fame portato a termine in una prigione britannica; prima di morire anch'egli ci lasciò il suo testamento spirituale concentrato in una ormai famosa frase: "A vincere non saranno coloro che infliggono la sofferenza maggiore, bensì coloro che la sopportano". L'opinione pubblica mondiale si mobilitò, manifestazioni di lutto e solidarietà si ebbero in tutta Europa, in Italia si sospesero gli spettacoli teatrali e, sull'esempio di MacSwiney, il Mahatma Gandhi scrisse nel suo diario di come si potesse far crollare l'Impero britannico facendo sacrificio di se.
Attraverso fatti più o meno noti, attraverso l'eroismo di tutti i giorni di chi continua a coniugare vita quotidiana e militanza politica, arriviamo all'episodio più noto, quello che più di qualsiasi altro avvenimento testimonia lo spirito di donazione, la lucida determinazione, la vocazione al martirio dei militanti dell'I.R.A.: lo sciopero della fame del 1981 attuato all'interno del lager di Long Kesh, nel blocco H.
Alla base della sensazionale decisione presa nell'autunno del 1980 c'era una mutata strategia da parte dei vertici dell'organizzazione nazionalista, tesi a puntare sulla commozione e sullo sdegno che la morte degli hunger strikers avrebbe dovuto suscitare sull'opinione pubblica, sia dentro che fuori i confini irlandesi; la speranza era che alla commozione seguissero manifestazioni di sdegno nei confronti del governo britannico, e di solidarietà verso la causa irredentista. Come pretesto per iniziare lo sciopero della fame, fu scelto quello delle continue violazioni dei diritti civili essenziali a cui erano sottoposti i detenuti; inoltre fu chiesta l'abrogazione della legge speciale emanata nel 1974 dalle autorità britanniche, grazie alla quale gli internati dell'I.R.A. persero lo status di prigionieri politici.
Già nel 1978 si era tentata un'altra forma di protesta spettacolare sempre per gli stessi motivi, quella degli blanket-man; ecco come Bobby Sands ci racconta quell'episodio attraverso i suoi diari :

"Gradualmente il mio aspetto e la mia salute peggiorarono. I miei occhi immobili, affondati nelle orbite febbrili, circondati da pelle giallastra, facevano paura. Mi ero fatto crescere la barba e, come molti dei miei camerati, sembravo un cadavere ambulante. Soffrivo di emicranie accecanti e di dolori muscolari, nel blocco H le torture, le bastonate, i soprusi erano cose di tutti i giorni. Il 28 marzo del 1978 iniziammo quello che fu definito lo "sciopero sporco": ci rifiutammo cioè di lavarci, di pulire le celle, di vuotare i vasi pieni di escrementi. Le nostre celle divennero fogne e tombe..."

La protesta del 1978 fallì, rendendo così necessaria un'ulteriore azione di sensibilizzazione, una azione che avrebbe fatto votare alla morte settanta ragazzi.
Lo sciopero fu organizzato in modo che ogni quindici giorni morisse uno dei settanta hunger strikers; il primo a cominciare fu proprio Bobby Sands, seguito da Francis Hughes, e via via da tutti gli altri. Durante lo sciopero, l'unico "alimento" concesso, era la particola benedetta che ogni mattina il cappellano del lager somministrava ai ragazzi dell'I.R.A.: lo spirito doveva continuare a nutrirsi per aiutare il corpo a resistere. Oltre alla Santa Comunione, l'altro rito della giornata era lo studio del gaelico che continuò anche durante la protesta.
I giorni passavano, registrando l'avvicinarsi della morte. Arrivò il 5 maggio, arrivarono gli altri giorni di lutto: l'Europa prima urlò dolore, poi partecipò commozione, infine manifesto indifferenza.
Ancora oggi si dibatte se, da un punto di vista esclusivamente utilitaristico, lo sciopero della fame sia effettivamente servito, se non altro come ritorno di immagine.
A chi scrive questo aspetto non interessa; lo scopo di questa analisi era quello di riscoprire il messaggio di "Geronimo", un messaggio intriso di tradizione, misticismo, spiritualità; un messaggio che indica nella donazione di se, la strada per liberare il proprio popolo, e non importa se le catene sono fatte d'acciaio o di falsi bisogni, se legano i nostri polsi o i nostri pensieri, se a metterle sono guardie o mercanti; ciò che importa è che sono catene da spezzare, anche attraverso il martirio, se è necessario.

 
 

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